Mesi fa un collega, un fisico, mentre io argomentavo circa l'utilità, per noi meridionali, di leggere un libro come Terroni, di Pino Aprile, mi chiese: va bene, mi sembra un ottimo libro, con una ottima bibliografia di riferimento; ma a cosa giova oggi recuperare tante nefandezze? non si rischia di alimentare il vittimismo, già indicato come tara ereditaria dell'ex popolo duosiciliano?
Ho dunque rimesso mano alla lettura di Terroni, in una edizione ebook. E ho ricominciato a leggerlo per cercare di dare una risposta a queste domande. La conclusione a cui sono giunto è che chiunque voglia sperare di fare qualcosa al Sud e per il Sud, scevro da asservimento etico culturale ha due possibilità:
- o cominciare a leggere tutti gli autori che di Sud hanno parlato dall'origine della questione meridionale a oggi. Inutile a dirsi, una pletora di autori cha va da Fortunato, Ciccotti, Dorso e Salvemini, fino ai recenti aprile, Zitara, Esposito, Di Fiore e così via.
- o armarsi di Terroni, di Pino Aprile e fare insieme a lui una promenade di un secolo e mezzo per arrivare a capire cosa eravamo, all'inizio dell'avventura unitaria, e cosa siam diventati dopo 150 anni di Unità. O colonizzazione, secondo i punti di vista.
Quindi, un primo valido motivo per acquistare e leggere Terroni è di ordine schiettamente pratico. E' un potente hub bibliografico. Un portale attraverso cui passare per uscire dal conformismo dilagante nella storia postunitaria. Uno stargate per vedere finalmente oltre e gettar luce sulle nostre piccole o grandi lacune di conoscenza. E per riacquistare, se possibile, un amore perso o mai avuto per la propria storia e per la propria terra.
Vi sembra troppo, per un solo libro, per quanto corposo? Direi di no. Non si giustificherebbe l'infinito tam tam che si è generato sin dalla sua prima edizione. Che lo ha portato ad avere persino una comoda edizione in inglese per giungere a tutti gli angoli del pianeta.
D'altronde il libro è ben organizzato. Ed è scritto con un ritmo sempre elevato, con una vena ironica tipica dell'autore che affronta la storia con l'approccio di un reporter da breaking news. E poi, se l'incipit è di questo tono,
Io non sapevo che i piemontesi fecero al Sud quello che i nazisti fecero a Marzabotto. Ma tante volte, per anni.
come arrestare, indifferenti, una lettura simile? Viene quindi spiegato il modo pressoché scientifico attraverso cui gli abitanti del Reame plurisecolare venivano resi meridionali. E come nacque la rivolta sociale passata sotto il nome di brigantaggio.
Io credevo che i briganti fossero proprio briganti, non anche ex soldati borbonici e patrioti alla guerriglia per difendere il proprio paese invaso. [...] Non volevo credere che i primi campi di concentramento e sterminio in Europa li istituirono gli italiani del Nord, per tormentare e farvi morire gli italiani del Sud, a migliaia, forse decine di migliaia (non si sa perchè li squagliavano nella calce), come l'Unione Sovietica di Stalin.
Come si vede, Aprile racconta il proprio percorso di riconoscimento della propria storia. Che è poi della stragrande maggioranza dei lettori del suo libro. Un inquetante disvelamento di verità storiche più o meno consapevolmente sottaciute, mistificate, occultate.
Non sapevo che i fratelli d'Italia arrivati dal Nord svuotarono le ricche banche meridionali, regge, musei, case private (rubando persino le posate), per pagare i debiti del Piemonte e costituire immensi patrimoni privati.[...] Ignoravo che l'occupazione del Regno delle Due Sicilie fosse stata decisa, progettata, protetta da Inghilterra e Francia, e parzialmente finanziata dalla massoneria (detto da Garibaldi...).
E questo cammino di riconoscimento delle proprie radici conduce inevitabilmente a un risultato, valso per l'autore, come per i suoi lettori, allo stesso modo:
E mi accorsi che diventavo meridionale, perchè, stupidamente, maturavo orgoglio per la geografia di cui, altrettanto stupidamente, Bossi e complici volevano che mi vergognassi.
Di sicuro si capisce che tanti pregiudizi nei riguardi di noi terroni sono davvero delle condanne senza processo, come dice Aprile. Mentre, nel frattempo, non sappiamo più chi fummo. E, davvero, non si può far nulla se non si conosce il proprio passato. Quanto a me, non sapevo neanche che uno storico del peso di Ettore Ciccotti fosse giunto a parlare dello sterminio di meridionali durante la guerra di unificazione nei termini di "una specie di antisemitismo italiano" versi i meridionali.E la vittima, il popolo meridionale, ha finito per far proprio quel sentire dispari tra le due anime della nuova Italia.
Trasformandosi in un popolo di emigranti. Come mai, però, fa notare Aprile, gli stessi meridionali qui ridotti alla fame, all'estero han fatto ovunque grandissime cose? Non di inferiorità culturale o antropologica trattasi. Bensì di asservimento di un popolo per meri scopi di cupidigia da parte del Regno di Sardegna.
Una parte dell'Italia, in pieno sviluppo, fu condannata a regredire e depredata dall'altra, che con il bottino finanziò la propria crescita e prese un vantaggio, poi difeso con ogni mezzo, incluse le leggi.
D'altronde l'Italia fu progettata da persone della qualità di d'Azeglio, che ebbe a definire i meridionali "carne che puzzava". Chissà se ne ha mai visto uno, lui.
Poi, Pino Aprile, gioiese, racconta di come ha conosciuto la storia del Sergente Romano. Che di Gioia era anch'egli. Che fu definito brigante ma non lo era. Era un militare che, a differenza di tanti suoi superiori venduti al nemico savoiardo e comprati coi soldi della massoneria, radunò uomini di Puglia e militari e sperò fino alla fine nel ritorno del re Francesco II. La Commissione di inchiesta sul brigantaggio, nel 1863, scrisse di lui che "non era abbietto come gli altri; aveva coraggio, e morì combattendo". Gente per cui non c'era spazio nell'Italia che veniva.
Aprile racconta la storia di Alessandro Romano, discendente del Sergente e il suo impegno di diffusione dei documenti storici tralasciati dalla storiografia ufficiale del risorgimento. "Di tutto, anche dei più minuti dettagli devi fornire le prove". E di come Antonio Ciano a Gaeta abbia avviato le pratiche per chiedere ai Savoia il risarcimento dei danni dell'assedio del 1861. Attualizzati ad oggi pari a 270 milioni di euro. Gaeta fu l'ultimo baluardo di resistenza all'invasione piemontese.
Il racconto di Aprile diventa sconcertante nel capitolo intitolato "la strage". Tutti i ragazzi dovrebbero leggerlo, come è giusto che si leggano le barbarie combinate dai nazisti nei lager. Storie di bambini uccisi come briganti. Di violenze sessuali a danno di donne e di uccisioni dei relativi mariti. Ma a migliaia. Legittimate da leggi come la legge Pica, deputato peraltro meridionale egli stesso. "Legittime" fucilazioni sul posto di persone anche solo accusate o indicate come fiancheggiatori di briganti.
Maria Ciaburri dicono fosse a letto, col marito Giuseppe. Le saltarono addosso, dinanzi a lui. Poi li uccisero: prima l'uomo; lei dopo, quando se ne stancarono.
Erano i portatori della libertà illuminata. Quella dei cialtroni della mistica di Stato. Aizzatori e terroristi per eccellenza passati per patrioti. Utili idioti anch'essi al servizio del furbo Cavour. Anche solo riguardare le pagine della descrizione degli eccidi di Pontelandolfo e Casalduni, ammetto, fa venire i brividi.
Ma vi invito a leggerle. La cosa peggiore è che di quelle vittime abbiam contezza grazie al duari di uno degli aguzzini, il bersagliere Margolfo. Per non parlare del generale Cialdini. E ancora. La vergogna del bando di coscrizione e l'uccisione dei renitenti alla leva che si tramutò in un vero rastrellamento di giovani e mariti, spesso fucilati sul posto per non aver letto il bando affisso nell'albo pretorio. Iniziava così questo paese. Quei poveretti erano fucilati perchè renitenti a loro insaputa. Oggi, ai politici del Nord, pur sempre a loro insaputa, vengono comprate abitazioni. Emerge dal passato anche la storia del lager di Fenestrelle. Grazie alla risonanza dei lavori di Aprile e a diversi altri storici non conformisti, e all'impegno di Romano e di Gennaro De Crescenzo, è ormai aperto il dibattito storico sul lager piemontese in cui finirono migliaia di meridionali. Il confronto è tuttora aperto tra negazionisti e revisionisti.
Vengono descritte le vicende di Carmine Crocco, di Giustino Fortunato e di Liborio Romano. Storie che spiegano come il Sud avesse un destino segnato: quello di veder peggiorare inesorabilmente le proprie condizioni in pochi decenni. E se il lettore si appassiona, e prova anche un senso di rivalsa verso una storia occultata, vuol dire che la radice è viva. E si scopre che i mariuoli stavano altrove.
Negli stati via via annessi alla nascente Italia, appena arrivavano i piemontesi, spariva la cassa; [...] I meridionali pagavano più degli altri italiani, perchè costretti a rifondere pure le spese affrontate per la loro liberazione.
Il divario economico fra le due grandi aree del paese cominciò a manifestarsi alla fine degli anni Settanta e negli anni Ottanta (dell'Ottocento). Fu contemporaneo, cioè, alla nascita della questione meridionale. Così scrivono gli storici Daniele e Malanima. E invece... Ci avevano raccontato che il Reame borbonico era arretrato perchè feudale. Mentre il nord era avanzato perchè aveva avuto l'esperienza dei Comuni. La spiegazione non regge. Feudali erano anche l'Inghilterra e il Giappone. E sotto molti aspetti il Regno delle Due Sicilie era secondo solo ai britannici. Che erano i primi al mondo.
E per tornare alla domanda da cui ho fatto scaturire questa discussione sull'utilità di leggere Terroni, Pino Aprile ne ripete in modo incalzante un'altra, nel testo: "Ma come mai i meridionali si fanno trattare così?".
Ecco: uno dei motivi per cui leggere Terroni di Pino Aprile è cominciare a capire la provenienza dell'endemico disinteresse dei meridionali verso la gestione della cosa pubblica. Lontani i tempi in cui Ettore Ciccotti, lucano, deputato, nel 1904 chiedeva che la sua regione fosse abbandonata dallo stato, perchè potesse, con le proprie risorse, badare finalmente a se stessa.
E invece lo sfruttamento di quella regione (petrolio incluso) non è ancora terminato dopo altri 100 anni.
Un altro grande parlamentare meridionale calcolò con quali indici la tassazione cresceva in senso proporzionale alla povertà. A parità di popolazione, infatti, la Sicilia pagava tre volte e mezzo di più delle Venezie. Era Francesco Saverio Nitti.
Mentre un altro meridionalista di spicco, molfettese, Gaetano Salvemini, appare tra le pagine di Terroni, sostenendo: "Nel 1860, noi meridionali fummo rovinati in nome dell'unità; nel 1887 in nome dell'industria; non ci mancherebbe altro che fossimo rovinati ora anche in nome della storia!".
Era la gestazione dell'industria padana, a cui , come spiega Nicola Zitara, è stato sacrificato tutto il resto del paese. Sud in primis.
E così, alla fine del fascismo, il disfacimento culturale e socioeconomico del Sud è fatto.
Il Sud era un posto da cui scappare. "Imparate una lingua e andatevene"; non aveva altro da dire, e poco altro da dare, un pur onesto presidente del Consiglio come Alcide De Gasperi.
Il Sud era ormai diventato privo di iniziativa industriale e ridotto a zona in cui vendere prodotti del Nord. Eppure, Aprile descrive del bell'indotto industriale voluto dai Borboni che prevedeva la produzione siderurgica a Mongiana fino ad arrivare a produrre treni a Pietrarsa. Altro che balocco del re. Il Sud, nel 1850, era in grado di produrre treni, una teconologia assolutamente di avanguardia. Altro che zona arretrata di dementi antropologicamente sfigati.
Nel secondo Dopoguerra, anche l'inganno della Cassa del Mezzogiorno è servito a far sentire qui al sud il peso dell'assistenzialismo statalista. Peccato che, a conti fatti, costituisse lo 0,5% del PIL. Un duecentesimo della ricchezza prodotta in Italia. Quanto il gettito dell'Ici prima casa abolito da Bersluconi. e pensare che a usufruirne furono molti imprenditori non meridionali. Proprio come in questi anni accade coi fondi FAS. Fondi per aree sottosviluppate, usati per l'Expo di Milano o i battelli di Como. E' un vizietto che proprio non vogliamo perdere qua al Sud: quello di farci fregare.
Aprile parla poi della Salerno-Reggio: la SaRc. Una vergogna pluridecennale. e il gioco di interessi imprenditoriali che ancora una volta va ben oltre il Sud.
Come disse il nobel A. Sen "L'uomo è quel che gli viene permesso di essere". Proprio così. A noi è stato consentito di diventare meridionali. Di essere a Sud di qualcuno. Che era a sua volta Sud di qualcun altro.
Questo sottile gioco psicologico di educazione alla minorità viene indagato da Pino Aprile, che cerca di spiegare anche cosa potesse passare nelle menti dei bersaglieri che di punto in bianco si trovarono a comportarsi da aguzzini verso la popolazione più o meno inerme. a radere al suolo interi paesi per rappresaglia. Cose per cui ogni anno i Capi di Stato posano corone legittimamente ricordando Kappler e affini.
"la pietà sara considerata tradimento" dissero ai propri soldati liberatori venuti dal Nord, quando ordinavano rappresaglie contro la popolazione, come a Pontelandolfo e Casalduini, con uccisione di bambini, stupri, innocenti arsi vivi nelle case.
Un baratro è stato scavato nel nostro paese; non è mai stato riempito. Chi c'era dentro è stato convinto e si è convinto di meritarlo: non pretende gli stessi diritti, al più "interventi straordinari"; chi ne è fuori, continua ad attingervi quel che gli conviene e a gettarvi dentro la sua disistima e i rifiuti tossici, pensando di averne il diritto.
Parole quanto mai attuali, viste le cronache della Terra dei Fuochi. Dunque, cercando di arrivare a una legittima conclusione di questa frammentaria e riduttiva descrizione di Terroni, quel che si può cercare di argomentare è che conoscere queste storie più o meno remote nel tempo assume una rilevanza fondamentale per chi voglia finalmente cambiare rotta. Per chi amministra la res publica al Sud, per chi fa giornalismo, per chi fa imprenditoria e per chi ama semplicemente la propria terra. Come noi. Questo perchè, come dice Domenico Ficarra, citato da Aprile "non saranno mai gli altri i risolutori dei problemi del Sud".
Quale sia ricetta migliore per risolverli (la separazione consensuale proposta da Marco Esposito in Separiamoci, come farà forse la Scozia, o la ridiscussione del federalismo fiscale e delle modalità di distribuzione delle risorse sul territorio e dei prelievi fiscali), questo è da vedersi ma le premesse, dentro Terroni, per discutere da pari a pari ed emanciparsi dalla minorità a cui la storia pareva averci condannato ci sono tutte.Si finisce di leggere Terroni avvertendo un forte senso di accrescimento. Di conoscenze storiche. E di autostima.
Buona lettura!
Alessandro Cannavale