mercoledì 20 maggio 2015

Istat, l'Italia fuori dalla crisi ma il Sud rimane sempre più indietro

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Il Sud rimane indietro. I segnali positivi percepiti tra la fine dell'anno scorso e questa prima parte del 2015 si fermano al Centro-Nord. "Le aree del Mezzogiorno - scrive l'Istat - si caratterizzano per una consolidata condizione di svantaggio legata alle condizioni di salute, alla carenza di servizi , al disagio economico, alle significative disuguaglianze sociali e alla scarsa integrazione degli stranieri residenti". Qualche dato: nel Mezzogiorno il reddito è più basso del 18 per cento rispetto alla media nazionale, nelle aree interne più povere la differenza sale al 30 per cento. Il che si riflette naturalmente nei consumi: le famiglie residenti al Sud spendono poco più del 70 per cento della media nel resto del Paese. Tanto che oltre un quarto della spesa nel Mezzogiorno è per i beni alimentari, di prima necessità: si arriva a quote del 28 per cento contro quote che nel Centro-Nord si fermano al 13 per cento per i livelli più alti. Infine la quota delle persone in cattive condizioni di salute è del 20 per cento al Sud e del 17,7 per cento nel Centro-Nord.

di Rosaria Amato
repubblica.it
20/05/2015

martedì 19 maggio 2015

Ecco perché non è vero che al Sud la vita sia meno cara

I poveri - scriveva Esposito in un articolo sul Mattino del 30 ottobre 2013 - sono in aumento ma meno della metà vive al Sud. Parola dell'Istat. Dieci anni fa non era così: tre poveri su quattro abitavano nel Mezzogiorno. Sempre per l'Istat. Cos'è successo di così miracoloso per ridurre - rispetto al resto d'Italia - la quota di poveri meridionali? Non ci dicono, altre statistiche, che il divario Nord-Sud negli ultimi anni si è andato allargando?

Il miracolo dei poveri spariti dalle statistiche è dovuto a un calcolo errato. Ad affermarlo è il ministero dello Sviluppo economico, il quale si raccomanda di «non utilizzare i dati sui livelli dei prezzi diffusi nell'ambito dell'Osservatorio nazionale prezzi e tariffe per confronti fra le diverse città». Tuttavia l'Istat il confronto sconsigliato lo fa, con il risultato che una famiglia di tre persone che guadagna 1.000 euro al mese è considerata povera se vive in un paesino del Centronord mentre diventa agiata in una città del Mezzogiorno. E non è un problema di percentuali bensì di persone: quando si vara un sostegno ai poveri, come la Social card, con le tabelle dell'Istat il beneficio va più al Centronord che al Sud, perché 1,2 milioni di persone del Mezzogiorno sono state liberate dal peso della povertà con colpo di spugna statistico.

Per smascherare un prestigiatore occorre filmarlo e guardarne i movimenti al rallentatore. Ripercorriamo quindi passo passo cosa è accaduto sul monitoraggio della povertà, partendo dall'ultimo fotogramma. Ieri in Parlamento il presidente dell'Istat, Antonio Golini, è stato ascoltato nel corso delle audizioni sul disegno di legge di Stabilità. «Dal 2007 al 2012 - ha detto - il numero di individui in povertà assoluta è raddoppiato (da 2,4 a 4,8 milioni). Quasi la metà dei poveri assoluti (2 milioni 347 mila) risiede nel Mezzogiorno». Quasi la metà vuol dire che ci sono più poveri al Centronord che al Sud. Possibile?

Golini fa riferimento al 2007-2012, ma se fosse tornato indietro al 2002, avrebbe dovuto ricordare che i poveri assoluti erano 2,9 milioni dei quali quasi il 75% (2.165.000) residenti nel Mezzogiorno. Come mai i poveri stanno aumentando soprattutto al Centronord?

Altro fotogramma: fino al 2002 la povertà «assoluta» è stata calcolata con un modello valido in tutta Italia. Si prendeva cioè un paniere di prodotti essenziali per vivere e si verificava il costo. Per una coppia con un figlio il livello di povertà assoluta era quell'anno di 763 euro e c'erano 2,9 milioni di italiani (il 5,1% della popolazione) sotto la soglia.

Nel 2003 (in pieno governo Berlusconi-Bossi-Tremonti) l'Istat decise di calcolare le soglie di povertà su base territoriale. Si aprì una fase di studio che durò due anni e nel 2005 l'Istat tirò fuori i conteggi con parametri diversi per Nord, Centro e Sud.

Non è sbagliato entrare nel dettaglio territoriale, l'importante è farlo con metodo. L'Istat tramite i Comuni capoluogo di provincia misura da decenni il livello dei prezzi per migliaia di prodotti, con l'obiettivo di calcolare l'inflazione, cioè l'aumento dei listini. Per raggiungere tale risultato ogni messo comunale va nei negozi campione e a gennaio chiede all'esercente per ciascun prodotto qual è il «più venduto», dopo di che va a guardare il cartellino del prezzo e, mese dopo mese, scrive se il listino cambia.

I prodotti più venduti, ovviamente, non sono gli stessi in tutti i negozi italiani. Lo spiega la stessa Istat: «I prezzi elementari rilevati fanno quindi riferimento a specifiche molto diverse in termini di marche, varietà e packaging, non comparabili tra le diverse unità territoriali (capoluoghi di provincia) presso le quali viene effettuata la rilevazione». Occhio: «non comparabili». Solo che, in assenza di altre rilevazioni, per calcolare il paniere dei poveri l'Istat si accontenta dei dati che ha. E compara prezzi incomparabili per sua stessa ammissione.

Per esempio nel mese di agosto la pasta di grano duro più venduta nel più economico negozio di Milano costava 0,96 euro; a Roma 1,12 euro; a Napoli 0,78 euro. Ma si parla della stessa identica pasta? No. E c'è la controprova. La Nielsen in una ricerca (titolo: «Fare la spesa al supermercato? Al Sud costa di più») ha verificato i prezzi di prodotti identici nei supermercati italiani (120.000 beni) scoprendo che la regione più cara d'Italia è la Calabria (indice 104,60) mentre la più economica è la Toscana (indice 94,60). E la Nielsen non si è neppure sorpresa, spiegando che le differenze si giustificano con i costi logistici e con le caratteristiche della rete distributiva.

Alcuni prodotti, come gli ortaggi freschi e il pane, al Sud costano effettivamente di meno, tuttavia i beni industriali sono decisamente più cari e se il paniere Istat dice il contrario è perché misura i beni più acquistati, peraltro non dai poveri ma dall'insieme dei consumatori. Insomma: è ovvio che al Sud in media avendo meno soldi in portafoglio si fa la spesa acquistando prodotti di qualità inferiore. Ciò accade anche per gli elettrodomestici, i cui prezzi secondo le associazioni dei consumatori sono tendenzialmente più cari al Sud. Ma se si guarda non al listino più basso in assoluto bensì a quello del bene più venduto ecco che la «cucina non elettrica» inserita nel paniere Istat per i poveri costa 295 euro al Nord, 331 al Centro e 202 nel Mezzogiorno. Il televisore costa 238 euro al Nord, 183 al Centro e 171 al Sud. È lo stesso modello di cucina o di tv? No: è il prezzo del prodotto più acquistato.

Se si convincono gli italiani che al Sud la vita costa meno, sarà facile far accettare stipendi diversi per insegnanti, infermieri e carabinieri, o pensioni sociali modulate in base al presunto minore costo della vita.

I fotogrammi iniziano a definire l'accaduto e a delineare il finale, lo scopo: a che serve cancellare 1,2 milioni di poveri del Sud dalle statistiche? L'ultimo fotogramma riporta al Parlamento. Dopo l'audizione di ieri dell'Istat c'è stato un impegno dei politici a far qualcosa di concreto per i 4,8 milioni di poveri di cui 2,5 milioni al Centronord e 2,3 al Sud. Ecco, sapere che in realtà il conteggio corretto certificherebbe 1,3 milioni al Centronord e 3,5 milioni al Sud forse renderebbe il sostegno ai poveri meno necessario. (cit.)