lunedì 15 dicembre 2014

Squilibri Nord/Sud

Suggerirei a tutti coloro che ancora credono alla favola del Nord ricco perché laborioso, che si rimbocca le maniche, in contrapposizione ad un Sud povero solo perché parassita e sfaticato, di dare un'occhiata ai dati pubblicati dall'ISTAT (qui un estratto) ed al relativo articolo del Sole 24 Ore sulla enorme e vergognosa differenza di servizi (qui il caso della Sanità) tra settentrione e meridione d'Italia frutto di decenni di investimenti statali del tutto squilibrati (vedasi i tanti grafici presentati in questo sito).

martedì 18 novembre 2014

La Banca d'Italia conferma: «Il sud il vero motore dell'economia nazionale pre-unitaria»

Che il sud fosse più ricco del nord prima dell'Unità d'Italia non è una favoletta. A confermarlo non è uno studio filo meridionalista ma l'istituzione principe dell'economia italiana, ossia la Banca d'Italia. A giocare con il pallottoliere sono Carlo Ciccarelli e Stefano Fenoaltea in un rapporto di 678 pagine appena pubblicato dalla Banca d'Italia e relativo all'industria estrattiera e manifatturiera complessiva, misurata in lire costanti a prezzi del 1911. Al momento dell'Unità d'Italia la regione con la maggiore produzione industriale era la Campania, con 39,04 milioni di lire. Un valore superiore persino di quello della più estesa e popolosa Lombardia, che si attestava a 36,83 milioni. Il Piemonte era terzo a 29,89 milioni di lire. Seguivano con valori superiori a 20 milioni di lire Veneto, Toscana e Sicilia. Se la storia è orientata dall'economia allora la nostra storia, quella che fanno ancora studiare a scuola, andrebbe riscritta, partendo da questi valori che spesso vengono occultati. Banca d'Italia, quindi, con questo studio, riconosce il valore intrinseco di un Sud capace di camminare con le proprie gambe facendo impresa e sapendo gestire il denaro in maniera oculata in tempi dove non esistenvano incentivi europei, né derrate made in Usa o Urss. Napoli, capitale economica del Mediterraneo, completamente ridotta a brandelli da una politica nazione volta a riempire le casse del nord. Difatti, nella top five delle capitali economiche d'Italia, Napoli passa dal primo posto del 1861 al quinto del 1901. Praticamente intere risorse spostate dal sud al nord, comprendo l'operazione con un colpo di spugna e deviando l'opinione pubblica con la lotta al brigantaggio. Poi ci lamentiamo se in Afghanistan, si occultano interessi economici con guerre "portatrici di democrazia". Lo studio ha anche dei nomi eccellenti in calce alla risma ricca di conti e conticini. È infatti Ciccarelli a confermare il tutto avalando lo studio con anni di esperienza come docente a Tor Vergata e Fenoaltea al collegio Carlo Alberto di Moncalieri. Non sono gli ultimi arrivati, con oltre quindici anni di lavori di ricostruzione storica dell'economia italiana. «La forza industriale - si legge in una recensione comparsa sui media nazionali a amrgine dello studio - dell'Italia del 1861, va sottolineato, era nel complesso modesta, tuttavia la presenza di aree industriali in tutte le aree della penisola poteva far immaginare uno sviluppo equilibrato. Invece nel giro di pochi decenni la forza produttiva si concentrò in tre regioni (Lombardia-Piemonte-Liguria). E' interessante anche verificare cosa accadde in regioni d piccole dimensioni. Nel 1861 l'Umbria aveva una produzione industriale di 3,67 milioni contro i 4,17 della Basilicata, gli 8,87 della Calabria e i 10,28 degli Abruzzi. Ebbene la regione del centro Italia supera la Basilicata nel 1864, la Calabria nel 1887 e gli Abruzzi nel 1898. Il caso della Basilicata è clamoroso perché nel 1900 era esattamente al livello dei 4,14 milioni dai quali era partita, mentre l'Umbria era cresciuta di cinque volte. Il primato della Campania resiste solo due anni: nel 1863 – segnato dall'eccidio di Pietrarsa – la regione viene superata dalla Lombardia. Il sorpasso del Piemonte arriva nel 1881. Quello di Liguria e Toscana nel 1896. Le posizioni sono segnate e così quando la produzione industriale decolla, a inizio ‘900, gli effetti sui territori sono diversi. In Piemonte si assiste a un più 124% del valore della produzione tra il 1902 e il 1912 (da 90,12 a 201,56 milioni) e la crescita è ancora più impetuosa in Liguria (da 85,12 a 180,56 milioni) e in Lombardia (da 125,14 a 311,62). In Campania si passa da 67,78 a 142,47. In Sicilia da 49,94 a 76,29. Tutto ciò non rappresenta una novità per chi non si è fermato ai libri di scuola che parlano di un Nord industriale e di un Sud agricolo. Ma il primato della Campania non era mai stato certificato con tanta precisione». 
Snocciolando i dati ritroviamo di seguito la CLASSIFICA REGIONI PER VALORE PRODUZIONE INDUSTRIALE 
1861 

1. Campania 
2. Lombardia 
3. Piemonte 
4. Toscana 
5. Veneto 
6. Sicilia 

1871 

1. Lombardia 
2. Campania 
3. Piemonte 
4. Veneto 
5. Liguria 
6. Toscana 

1881 

1. Lombardia 
2. Piemonte 
3. Campania 
4. Veneto 
5. Toscana 
6. Liguria 

1891 

1. Lombardia 
2. Piemonte 
3. Campania 
4. Toscana 
5. Liguria 
6. Veneto 

1901 

1. Lombardia 
2. Piemonte 
3. Liguria 
4. Toscana 
5. Campania 
6. Veneto 

L'Italia che oggi abbiamo ereditato è quindi frutto dei fallimenti di chi ha voluto spostare il centro dell'economia in un'area che in passato stentava a far quadrare i conti. Volendo fare un esempio è come implementare un motore Ferrari sulla scocca di un'utilitaria. Dopo un giro di prova si rischia di rovinare sia il motore che il resto dell'auto. Ad oggi l'Italia è proprio l'emblema di scelte sbagliate costruite su soprusi e operazioni massoniche. Di contr'altare si potrebbe anche pensare a scelte economiche conformi ai tempi e di conseguenza anche evoluzioni fisiologiche che avrebbero comunque portato il sud in questo stato. Ma anche questa ipotesi è stata già vagliata anche dai due economisti, che hanno ribadito quanto sia importante la posizione strategica dei mercati campani e quindi non solo una questione di savoir-faire del Regno delle Due Sicilie ma soprattutto una concentrazione di elementi cruciali che hanno portato l'economia napoletana in vetta alla classifica. Gli economisti non hanno evidenziato, ma questo lo facciamo noi, come il processo di distruzione dell'economia del sud sia stato lungo e lancinante. Continui attacchi fatti di leggi e distrazioni di fondi, che ancora oggi lasciano il mezzogiorno ingessato rispetto alle atre aree del bel Paese. Una sorta di embargo economico che tutti i giorni si concretizza sui mercati nazionali, sia sul piano dei prodotti che su quello dei servizi. Siamo obbligati, come succedeva nel secondo dopo guerra, ad acquistare prodotti del nord, alimentando l'economia del nord e facendo passare la cosa come un normale processo economico. Nel concreto invece noi non scegliamo di acquistare ma siamo obbligati ad acquistare perché è stata eliminato ogni flusso concorrenziale proveniente dal nord. Nel concreto dopo il 1861 sull'economia meridionale si è abbattuta una rappresaglia così vasta da far concorrenza ad Hiroshima. Probabilmente questo studio sarà occultato come tanti altri già effettuati per continuare a dare ragione a chi dal nord pontifica affermando che sono loro il motore del'Italia e che il sud è la solita palla al piede fatta di politiche assistenziali e piagnistei. (fonte Banca d'Italia, IlSole 24ore, unionemediterranea)

Da http://social.i-sud.it/

martedì 4 novembre 2014

Il rapporto Svimez, il divario Nord-Sud e le leggi approvate dal primo Parlamento italiano

 Il Sud è al tracollo. Mai così male, negli ultimi 40 anni. Lo Svimez diffonde cifre da brividi: del 12,7 per cento crollati i consumi; del 4,2 gli investimenti. Solo due volte, dall'unità d'Italia in poi, al Sud ci sono stati più defunti che bambini nati. La prima volta fu nel 1867. 

Male, male, male: il divario aumenta e l'occupazione è come fu nel 1977, con 583mila posti di lavoro persi. Il sottosegretario Graziano Delrio parla di "Sud diventato la Germania dell'Est dell'Italia" e il presidente dello Svimez, Adriano Giannola, denuncia: "Negli ultimi 25 anni si è puntato solo sulla locomotiva Nord, dimenticando il Mezzogiorno".


C'è da chiedersi, parlando d'Italia, se privilegiare il Nord nelle scelte politico-economiche sia fenomeno soltanto degli ultimi 25 anni o se, per caso, il nostro non sia sempre stato un Paese nord-centrico nei suoi obiettivi di sviluppo. Il divario economico si ridusse negli anni del boom economico nei primi anni '60 del secolo scorso: lo dicono le cifre del Pil di quel periodo riportate anche dai professori Daniele e Malanima. Periodo che coincise con l'avvio della Cassa del Mezzogiorno, che significò nvestimenti e opere pubbliche in grado di trainare l'economia meridionale.


Una formula non nuova se già nel 1904, al momento dell'approvazione della legge speciale per Napoli, era teorizzata anche da Francesco Saverio Nitti. Che scriveva: "Occorre che Napoli cessi di essere città di consumi per diventare città di produzione. Niente industrie sussidiate, concessioni o forme speciali di protezione, la rinnovazione industriale non può però che avvenire in un regime speciale".


Parliamo esclusivamente d'Italia unita, parliamo delle scelte territoriali e geografiche fatte per eliminare squilibri, per armonizzare tutte le aree della penisola. E partiamo dall'inizio della nostra storia unitaria, guardando agli anni probabilmente premessa delle scelte successive. Scelte legislative, scelte economiche, scelte politiche.


Senza interpretazioni, parlano i fatti. Parlano i dati della prima legislatura, quella che cominciò il 18 febbraio 1861 e fino al 1865 vide avvicendarsi sei governi. Che volto diedero alla nazione in fasce i 443 deputati, eletti da 394.365 italiani? Tra quegli onorevoli, 192 venivano dalle regioni meridionali, 133 da quelle settentrionali, 107 dal centro e 11 dalla Sardegna. 


Oggi, Niki Vendola, governatore della Puglia, dice  che "l'unità del Paese si raggiunge con la realizzazione delle ferrovie". Se al momento dell'unità, esistevano più percorsi ferroviari al Nord che al Sud, dopo 153 anni cosa si è fatto per eliminare il divario di partenza? Logica avrebbe voluto che, da subito, già alla prima legislatura del regno d'Italia, si fosse scelto di finanziare somme maggiori di investimenti nei collegamenti ferroviari nel Mezzogiorno invece che nel resto della penisola.


E invece? Invece il quadro dei chilometri delle concessioni per opere ferroviarie dal 1861 al 1865 fornisce un insolito criterio di riequilibrio. Un quadro raccolto dal deputato della destra cavouriana Leopoldo Galeotti. Eccolo: 2937 chilometri nell'Italia "superiore", 1481 nella "media", 1805 in quella "meridionale". La somma di chilometri tra Sardegna (che fino al 1863 non aveva neanche un metro di ferrovia) e Sicilia fu di 1847.


Sempre Galeotti ci fornisce le cifre degli investimenti per le strade: 3 milioni 575367 per le "province subalpine" e 2 milioni 500763 per le napoletane. Non esistevano più le Due Sicilie, né il regno Sardo-piemontese. Era il regno d'Italia, con le sue prime scelte parlamentari. E questi sono i numeri.


Illuminanti anche alcune leggi approvate tra il 1861 e il 1865: un prestito di 500 milioni per limitare il disavanzo maturato "per costruire l'Italia". Ancora 226mila lire per il porto di Rimini. Poi, nel 1861, 8 concessioni ferroviarie nel centro-nord e due nel sud. Una delle due assai generica, fu approvata il 28 luglio: "costruzione di strade ferrate nelle province meridionali, napoletane e siciliane". Significativa la legge del 18 agosto, che istituì "succursali e sedi della Banca nazionale nelle province meridionali". Era la Banca centrale dell'ex regno Sardo-piemontese. Non fu consentita, invece, l'apertura di sedi del Banco di Napoli al nord.


Il 5 dicembre si pensò di abolire i "vincoli feudali nelle province lombarde". E poi si unificarono pesi e misure, moneta e codici secondo le regole in vigore in Piemonte prima delle annessioni. Il 1862 fu l'anno delle leggi per nuove tasse: sui biglietti ferroviari, sul registro, sul bollo, sulle società industriali, commerciali e delle assicurazioni, sulle ipoteche, sull'Università, sul bollo delle carte da gioco, sui redditi della ricchezza mobile. E poi, due anni dopo, un secondo prestito per appianare il disavanzo: stavolta di 700 milioni, nel 1863.


Questo fu il primo stampo dell'Italia unita ancora neonata. Inutile negarlo: l'impronta prevalente porta il marchio dei deputati del nord. Nei primi 20 anni d'unità ebbero il sopravvento, per una serie di ragioni che qui sarebbe lungo elencare, usi e leggi dell'ex regno subalpino. E lo ammise anche il toscano Leopoldo Galeotti, che nel suo consuntivo sulla prima legislatura pubblicato nel 1866 scriveva: "Non conviene dimenticare che il Parlamento, nella sua quasi totalità (eccettuata la parte piemontese), era composto di uomini nuovi e inesperti. Così la balia di fare e disfare rimase nella sostanza agli uomini della burocrazia. Quello che avveniva ai deputati, toccava anche ai ministri piemontesi e non piemontesi". Era l'eredità che l'Italia in fasce lasciava a chi l'avrebbe governata negli anni a venire.


di Gigi Di Fiore
ilmattino.it

mercoledì 29 ottobre 2014

Sud desertificato – La scelta del governo Renzi: azzerati trasporti, fondi europei e scuole primarie

Il Mattino, nella sua edizione nazionale, sta combattendo una battagia mediatica senza precedenti per informare la popolazione sui gravissimi decreti del governo italiano che di fatto hanno umiliato le regioni meridionali. Domenica 26 Ottobre l'editoriale di Marco Esposito raccoglieva i dati sulla ripartizione dei finanziamenti per le ferrovie contenuti nel decreto del governo "Sblocca Italia" e nella "legge di Stabilità", di questi fondi 4,7 miliardi sono destinati a opere delle regioni dalla Toscana in sù (tra cui il tunnel del Brennero, TAV in Val di Susa e terzo valico ferroviario nell'Appennino ligure) mentre solo 60 milioni (non è un errore di battitura) sono destinati a tutte le restanti regioni meridionali. Il sottosegretario PD Graziano Delrio il giorno 28 ottobre ha confermato l'azzermaneto dei finanziamenti esclusivamente alle regioni meridionali adducendo come motivazione la presenza di "rocce" lungo le tratte ferroviarie da progettare (ci chiediamo se l'appennino ligure o le alpi siano costituite da materiali non indentificabili col termine "rocce"). Delrio per l'ennesima volta declassa la sua immagine già piuttosto inflazionata con dichiarazioni ridicole e prive di senso.

Questa ennesima infame condanna all'arretratezza delle nostre regioni si somma alla sempre recente decisione del governo italiano di adottare la spesa storica per lo stanziamento dei fondi per le scuole primarie; decisione che di fatto condanna le regioni meridionali (da sempre con pochi asili) a continuare a non avere servizi simili a quelli del nord con uno scippo di 700 milioni di euro dirottati verso il settentrione. La standardizzazione della spesa avrebbe distribuito proporzionalmente al numero di bambini per regione i fondi per la loro educazione e formazione, ma non era conveniente per tutte le regioni italiane: quelle settentrionali. Anche questa volta l'Italia ha agito condannando le prossime generazione di meridionali all'emigrazione o comunque a una vita più difficile.

Infine ricordiamo il dimezzamento del cofinanziamento ai fondi europei (ma badate bene, solo per i fondi destinati alle regioni meridionali) voluto da questo governo nel mese di settembre e sempre denunciato da Marco Esposito sulle pagine del Mattino. Una porcata con la quale si riducono del 25% i potenziali investimenti europei nel Mezzogiorno venendo meno la metà dei fondi italiani che dovevano sommarsi a quelli dell'Unione Europea. Una notizia, anche questa, confermata dal sottosegretario del Partito Democratico Graziano Delrio che per la seconda volta risponde alla chiamata di giustificare il suo governo arrampicandosi sugli specchi e promettendo che quei fondi in un futuro ignoto saranno comunque destinati al Sud; l'ennesima presa in giro.

Stefano Lo Passo
Meridionalismo.it

mercoledì 6 agosto 2014

Altro furto ai danni del Sud???

Napoli. Federalismo, la beffa dei fabbisogni standard: nessun asilo in più
Marco Esposito, Il Mattino
24-Luglio-2014

Napoli - «Non soltanto la cambiamo, al di là della tecnicalità immediata». Il 14 maggio, in occasione del Forum con il Mattino, il premier Matteo Renzi era stato chiarissimo impegnandosi a cambiare la regola del federalismo fiscale che assegna un fabbisogno zero di asili nido nei Comuni senza asili nido, misurando cioè il fabbisogno sul numero di strutture esistenti e non sul numero di bambini.

Ora il momento della «tecnicalità» è arrivato. Ma tra un tecnicismo e l'altro l'impegno del premier si è perso per strada perché ieri il Consiglio dei ministri ha detto che è giusto così: il fabbisogno di asili nido nel Mezzogiorno è pari ai pochi asili aperti. Non uno di più.
 



Asili e scuole, scippo al Sud da 700 milioni
Marco Esposito, Il Mattino
30-Luglio-2014

Ora ci sono i dati. Istat e non solo. E certificano l'assurdo di adottare la spesa storica per assegnare ai Comuni i fabbisogni in materia di scuola e asili nido: una torta da 5,6 miliardi di euro che si è scelto di suddividere replicando appunto la spesa storica per asili nido, mense scolastiche, manutenzione di edifici e così via. Un vero e proprio trucco contabile che consente di sottrarre oltre 700 milioni di euro all'anno dai bisogni concreti del Mezzogiorno verso i municipi del Centronord. Il regalo più sostanzioso lo riceve Milano (79 milioni) mentre Napoli si vede sottrarre 66 milioni.

giovedì 27 febbraio 2014

Ecco i numeri delle due Italie: Napoli paga tasse, tariffe e polizze doppie di Milano

Iniziare dalla scuola è un segnale bellissimo. E cominciare da un istituto di Treviso, come ha fatto Matteo Renzi, è una scelta bella come altre, perché gli studenti meritano tutti la stessa attenzione.

Nello stesso giorno in cui il premier era in Veneto, però, l'associazione dei professionisti della formazione Anief denunciava che le assunzioni di docenti di sostegno si faranno per l'80% al Nord (18.000 su 22.000) e il 20% al Centrosud. Solo un caso? Purtroppo no: mettendo in fila tasse e gabelle pagate da due famiglie-tipo, una residente a Napoli e l'altra a Milano, la sola differenza di residenza porta sui napoletani il 155% in più di Rc auto, il 139% in più di Rc moto, il 28% di maggiori addizionali Irpef, il 12% di superiore tassa per i rifiuti. E a fronte di esborsi maggiori, si ricevono meno servizi per asili, trasporti locali, sostegni agli anziani e agli studenti meritevoli.

Marco Esposito – Il Mattino

lunedì 24 febbraio 2014

Turismo al Sud, il bilancio di una catastrofe

Va bene combattere contro le ingiustizie e le falsità, va bene rivendicare con orgoglio le proprie radici ma, in parallelo, è necessario analizzare le proprie mancanze senza alcuno spirito auto-assolutorio. Non c'è altra soluzione che rimboccarsi le maniche e lavorare ad una inversione di tendenza per ambire ad un futuro che nessuno ci regalerà dall'esterno.

lunedì 17 febbraio 2014

Rapporto SVIMEZ 2013

Un Mezzogiorno a rischio desertificazione industriale, dove i consumi non crescono da cinque anni, si continua a emigrare per il Centro-Nord, il tasso di disoccupazione reale supera il 28%, crescono le tasse e si tagliano le spese, ma una famiglia su 7 guadagna meno di mille euro al mese, e in un caso su quattro il rischio povertà resta anche con due stipendi in casa. 
Questa la fotografia che emerge dal Rapporto SVIMEZ sull'economia del Mezzogiorno presentato a Roma giovedì 17 ottobre 2013.

Secondo la SVIMEZ occorre rilanciare una visione strategica di medio-lungo periodo, che veda nella riqualificazione urbana, energie rinnovabili, sviluppo delle aree interne, infrastrutture e logistica i principali drivers dello sviluppo. 

sabato 8 febbraio 2014

Toledo: la più bella metropolitana d’Europa anche per la CNN



La stazione della metropolitana più bella d'Europa? Si trova a Napoli in via Toledo. La classifica stilata dalla CNN, storica rete televisiva statunitense, conferma quella realizzata dal The Daily Telegraph: la fermata della linea 1 partenopea batte tutte in quanto a bellezza e impatto sui viaggiatori. Progettata dall'architetto spagnolo Oscar Tusquets, con opere d'arte di Robert Wilson e William Kentridge, la stazione di Toledo, oltre a essere un piacere per gli occhi, ha anche migliorato considerevolmente la mobilità a Napoli, col collegamento diretto alla stazione centrale di piazza Garibaldi.
LE ALTRE STAZIONI – Napoli batte Monaco di Baviera e Mosca. Al secondo posto troviamo infatti la Westfriedhof tedesca, inaugurata il 24 maggio 1998, e la Komsomolskaya della Capitale russa, che spicca per il particolare arredo che la fa somigliare a una sala da ballo. Al quinto posto la storica "Tube" di Londra, con la fermata di Westminster, rinnovata totalmente nel 1970 (è infatti la stazione più vecchia di tutte, costruita nel lontano 1868); al nono posto troviamo la fermata del Museo del Louvre di Parigi, mentre al dodicesimo troviamo la Staromestska di Praga, in Repubblica Ceca. La concorrenza era quindi ben agguerrita

Fonte: campaniasuweb.it

martedì 4 febbraio 2014

100 milioni per il centro storico di Napoli. De Magistris esulta!

Napoli centro storico

Il centro storico di Napoli potrà vivere di una nuova luce. La Commissione Europea ha approvato lo stanziameno di 100 milioni di euro relativi al progetto “Centro Storico di Napoli – valorizzazione del sito Unesco”. Gli obiettivi sono crescita e sviluppo dell’Unione attraverso un’attività di riqualificazione.

Sono tanti gli interventi che saranno effettuati e comprenderanno diverse zone della città: dalle mura aragonesi a Porta Capuana, Castel Capuano, Complesso di Santa Maria della Pace, Complesso dei Gerolomini, Complesso di San Lorenzo Maggiore, San Gregorio Armeno, San Paolo Maggiore ed ex asilo Filangieri.

Sul sito del Comune di Napoli è possibile trovare nel dettaglio come saranno spesi i 100 milioni di euro messi a disposizione dall’Europa. Che siano soldi benedetti per Napoli che deve mostrare assolutamente al mondo intero le bellezze del suo centro storico.

Sulle colonne del Corrieredelmezzogiorno.it, il sindaco De Magistris esprime la sua gioia per la lieta novella: “Qui – ha sottolineato de Magistris – c’è una visione di città a discapito di tutti coloro che, negli anni, ci hanno criticato accusandoci di non avere una visione d’insieme. Stiamo realizzando – ha proseguito – interventi strutturali per la città che comprendono il recupero di complessi monumentali, ma anche interventi di decoro urbano, illuminazione nell’ottica di un recupero degli spazi pubblici perché il nostro centro storico deve vivere ed essere vissuto”.

Salvatore Russo Napoli, Notizie

giovedì 16 gennaio 2014

Petizione Terra Nostra

Dal sito www.xilsud.it

Le istituzioni italiane si occupano del Mezzogiorno con logiche da colonia interna. Al Sud i diritti di cittadinanza sono caratterizzati dal segno meno: meno servizi pubblici, meno lavoro, meno sicurezza, meno rispetto dell'ambiente, meno salute, meno opportunità per le donne e per i giovani. I fondi europei non vengono spesi per colmare i divari, come negli altri Paesi europei, ma per sostituire fondi ordinari che non sono neppure assegnati al Mezzogiorno, ovvero a un territorio più vasto dell'Olanda, più popoloso della Svezia eppure privo di peso adeguato nelle istituzioni, nell'informazione, nell'economia.

Charter of Fundamental Rights of the European ...
UnionCarta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea

Article 44 - Articolo 44
Right to petition Any citizen of the Union and any natural or legal person residing or having its registered office in a Member State has the right to petition the European Parliament.

Diritto di petizione Qualsiasi cittadino dell'Unione o qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro ha il diritto di presentare una petizione al Parlamento europeo.

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Ai sensi dell'articolo 44 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea i sottoscritti cittadini dell'Unione, presentatori della "lista civica di scopo Terra Nostra nella circoscrizione Italia meridionale alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo del 25 maggio 2014,

DENUNCIANO

le violazioni in vaste aree dell'Italia meridionale e della Sicilia degli articoli 1 (dignità umana), 2 (diritto alla vita), 11 (istruzione), 15 (libertà professionale e diritto di lavorare), 31 (condizioni di lavoro giuste ed eque), 34 (sicurezza sociale e assistenza sociale), 35 (protezione della salute), 37 (protezione dell'ambiente) e 38 (protezione dei consumatori) precisate in dettaglio nell'Allegato 1.

CONVINTI

che quanto accade in termini di traffico di rifiuti pericolosi, sicurezza alimentare e ambientale, sfruttamento devastante dei territori, diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose, corretto funzionamento delle istituzioni nazionali e locali, contrasto alla malavita organizzata, sviluppo sociale ed economico e utilizzo dei fondi strutturali europei nell'Italia meridionale e nella Sicilia - ovvero in un territorio più vasto dell'Olanda e più popoloso della Svezia - sia di diretto interesse di tutte le istituzioni dell'Unione europea e vada affrontato tenendo conto delle proposte precisate nell'Allegato 2.

PROPONGONO

di istituire nel Parlamento europeo una Commissione speciale della durata di anni tre denominata "Dignità, vita, istruzione, lavoro, sicurezza, salute, ambiente e protezione dei consumatori in tutti i territori dell'Unione europea"

Tale Commissione speciale avrà il compito di

1. analizzare e valutare nell'intera area dell'Unione europea, a partire dall'Italia meridionale e dalla Sicilia, l'entità del fenomeno dell'avvelenamento dei territori da interramento dei rifiuti, affondamento di navi e altre forme di devastazione ambientale, con particolare attenzione alla qualità delle acque, dei cibi, dell'aria; valutare proposte per circoscrivere le aree contaminate e procedere alle bonifiche; promuovere una certificazione dei prodotti nell'interesse primario della salute dei consumatori e della tutela delle attività imprenditoriali; verificare il corretto utilizzo dei fondi pubblici e in particolare dei finanziamenti dell'Unione europea; proporre misure adeguate che consentano all'Unione di prevenire e contrastare tali minacce, a livello internazionale, europeo e nazionale;

2. al fine di conseguire gli obiettivi di cui al punto 1 la Commissione potrà stabilire i contatti necessari, effettuare visite e organizzare audizioni con le istituzioni dell'Unione europea, con le istituzioni internazionali, europee, nazionali e locali, con i parlamenti nazionali e i governi degli Stati membri e dei paesi terzi, e con i rappresentanti della comunità scientifica, del mondo delle imprese e della società civile, come pure con gli operatori di base, le organizzazioni delle vittime da disastro ambientale, le associazioni dei consumatori, i soggetti impegnati quotidianamente nella lotta contro le ecomafie, nonché le autorità incaricate dell'applicazione della legge, i giudici e i magistrati, e con gli attori della società civile che promuovono una cultura del rispetto della dignità umana e dei diritti garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali.

martedì 7 gennaio 2014

Città di Partenope



Oggi voglio pubblicizzare un’iniziativa che reputo meritoria: Città di Partenope (http://comunedipartenope.it/).

Io sono iscritto



Che cos’è Partenope?


E’ una città virtuale abitata da cittadini reali, con tanto di carta d’identità. Ci si iscrive gratuitamente con l’unico impegno di rispettare e condividere semplici regole del vivere civile.

Perché diventare Partenopei?

Iscrivendoti all’Anagrafe di Partenope, contribuisci automaticamente alla diffusione del senso civico e diventi testimone attivo del fatto che i napoletani non sono quelli descritti in tv affianco a immagini di degrado o malaffare. Se diventi partenopeo fai aumentare il numero di quelli che nulla hanno a che fare con camorra e criminalità, ma nemmeno con volgarità e malcostume. Ti riconosci? Sei napoletano e anche partenopeo? O semplicemente non sei napoletano ma porti Napoli nel cuore? Iscriviti e richiedi la tua carta di identità.

Il Manifesto di Partenope

Intorno al nome di Città di Partenope si stanno radunando a Napoli molti professionisti, imprenditori, giornalisti, studenti, professori, persone di appartenenze sociali e simpatie politiche diverse. Più che dare vita a un’associazione o lanciare un movimento, piace l’idea di tracciare linee di confine e rifondare una città. E’ seducente il progetto di lasciare fuori non solo camorra e microcriminalità, il sottobosco di giovani sfaccendati e pronti a delinquere, ma anche la volgarità e il malcostume, i tanti che sono tolleranti e che giustificano sempre chi non rispetta le regole.
Che cos’è Città di Partenope? E’ la voglia di distinguersi e di riprendersi in mano il proprio destino. E’ il nome perfetto di un’idea che dà il senso della diversità, che fa sentire l’orgoglio di provenire da una storia antica.
Città di Partenope è un’identità. Un vestito messo addosso a un sentimento che esiste già nel cuore di migliaia e migliaia di persone. Per questo coinvolge, contagia, calamìta, avvince.
Noi cittadini di Partenope intendiamo sviluppare una cultura civica, il rispetto delle regole, il senso della legalità e dello Stato e vogliamo incidere sulla vita cittadina con iniziative concrete. Chi entra nella Città, viene iscritto di diritto nell’Anagrafe comunale di Partenope, diventa “cittadino” e riceve non una tessera ma una carta d’identità.
L’unico vincolante impegno per chi aderisce è di sottoscrivere e osservare il codice etico della Città. Una specie di galateo nel quale riconoscersi tutti.





Perchè dovrei leggere Terroni di Pino Aprile?

Mesi fa un collega, un fisico, mentre io argomentavo circa l'utilità, per noi meridionali, di leggere un  libro come Terroni, di Pino Aprile, mi chiese: va bene, mi sembra un ottimo libro, con una ottima bibliografia di riferimento; ma a cosa giova oggi recuperare tante nefandezze? non si rischia di alimentare il vittimismo, già indicato come tara ereditaria dell'ex popolo duosiciliano?

Ho dunque rimesso mano alla lettura di Terroni, in una edizione ebook. E ho ricominciato a leggerlo per cercare di dare una risposta a queste domande. La conclusione a cui sono giunto è che chiunque voglia sperare di fare qualcosa al Sud e per il Sud, scevro da asservimento etico culturale ha due possibilità:

- o cominciare a leggere tutti gli autori che di Sud hanno parlato dall'origine della questione meridionale a oggi. Inutile a dirsi, una pletora di autori cha va da Fortunato, Ciccotti, Dorso e Salvemini, fino ai recenti aprile, Zitara, Esposito, Di Fiore e così via.

- o armarsi di Terroni, di Pino Aprile e fare insieme a lui una promenade di un secolo e mezzo per arrivare a capire cosa eravamo, all'inizio dell'avventura unitaria, e cosa siam diventati dopo 150 anni di Unità. O colonizzazione, secondo i punti di vista.

Quindi, un primo valido motivo per acquistare e leggere Terroni è di ordine schiettamente pratico. E' un potente hub bibliografico. Un portale attraverso cui passare per uscire dal conformismo dilagante nella storia postunitaria. Uno stargate per vedere finalmente oltre e gettar luce sulle nostre piccole o grandi lacune di conoscenza. E per riacquistare, se possibile, un amore perso o mai avuto per la propria storia e per la propria terra.

Vi sembra troppo, per un solo libro, per quanto corposo? Direi di no. Non si giustificherebbe l'infinito tam tam che si è generato sin dalla sua prima edizione. Che lo ha portato ad avere persino una comoda edizione in inglese per giungere a tutti gli angoli del pianeta.

D'altronde il libro è ben organizzato. Ed è scritto con un ritmo sempre elevato, con una vena ironica tipica dell'autore che affronta la storia con l'approccio di un reporter da breaking news. E poi, se l'incipit è di questo tono,
Io non sapevo che i piemontesi fecero al Sud quello che i nazisti fecero a Marzabotto. Ma tante volte, per anni.

come arrestare, indifferenti, una lettura simile? Viene quindi spiegato il modo pressoché scientifico attraverso cui gli abitanti del Reame plurisecolare venivano resi meridionali. E come nacque la rivolta sociale passata sotto il nome di brigantaggio.
Io credevo che i briganti fossero proprio briganti, non anche ex soldati borbonici e patrioti alla guerriglia per difendere il proprio paese invaso. [...] Non volevo credere che i primi campi di concentramento e sterminio in Europa li istituirono gli italiani del Nord, per tormentare e farvi morire gli italiani del Sud, a migliaia, forse decine di migliaia (non si sa perchè li squagliavano nella calce), come l'Unione Sovietica di Stalin.
Come si vede, Aprile racconta il proprio percorso di riconoscimento della propria storia. Che è poi della stragrande maggioranza dei lettori del suo libro. Un inquetante disvelamento di verità storiche più o meno consapevolmente sottaciute, mistificate, occultate.
Non sapevo che i fratelli d'Italia arrivati dal Nord svuotarono le ricche banche meridionali, regge, musei, case private (rubando persino le posate), per pagare i debiti del Piemonte e costituire immensi patrimoni privati.[...] Ignoravo che l'occupazione del Regno delle Due Sicilie fosse stata decisa, progettata, protetta da Inghilterra e Francia, e parzialmente finanziata dalla massoneria (detto da Garibaldi...).
E questo cammino di riconoscimento delle proprie radici conduce inevitabilmente a un risultato, valso per l'autore, come per i suoi lettori, allo stesso modo:

E mi accorsi che diventavo meridionale, perchè, stupidamente, maturavo orgoglio per la geografia di cui, altrettanto stupidamente, Bossi e complici volevano che mi vergognassi.

Di sicuro si capisce che tanti pregiudizi nei riguardi di noi terroni sono davvero delle condanne senza processo, come dice Aprile. Mentre, nel frattempo, non sappiamo più chi fummo. E, davvero, non si può far nulla se non si conosce il proprio passato. Quanto a me, non sapevo neanche che uno storico del peso di Ettore Ciccotti fosse giunto a parlare dello sterminio di meridionali durante la guerra di unificazione nei termini di "una specie di antisemitismo italiano" versi i meridionali.E la vittima, il popolo meridionale, ha finito per far proprio quel sentire dispari tra le due anime della nuova Italia.

Trasformandosi in un popolo di emigranti. Come mai, però, fa notare Aprile, gli stessi meridionali qui ridotti alla fame, all'estero han fatto ovunque grandissime cose? Non di inferiorità culturale o antropologica trattasi. Bensì di asservimento di un popolo per meri scopi di cupidigia da parte del Regno di Sardegna.
Una parte dell'Italia, in pieno sviluppo, fu condannata a regredire e depredata dall'altra, che con il bottino finanziò la propria crescita e prese un vantaggio, poi difeso con ogni mezzo, incluse le leggi.
D'altronde l'Italia fu progettata da persone della qualità di d'Azeglio, che ebbe a definire i meridionali "carne che puzzava". Chissà se ne ha mai visto uno, lui.

Poi, Pino Aprile, gioiese, racconta di come ha conosciuto la storia del Sergente Romano. Che di Gioia era anch'egli. Che fu definito brigante ma non lo era. Era un militare che, a differenza di tanti suoi superiori venduti al nemico savoiardo e comprati coi soldi della massoneria, radunò uomini di Puglia e militari e sperò fino alla fine nel ritorno del re Francesco II. La Commissione di inchiesta sul brigantaggio, nel 1863, scrisse di lui che "non era abbietto come gli altri; aveva coraggio, e morì combattendo". Gente per cui non c'era spazio nell'Italia che veniva.
Aprile racconta la storia di Alessandro Romano, discendente del Sergente e il suo impegno di diffusione dei documenti storici tralasciati dalla storiografia ufficiale del risorgimento. "Di tutto, anche dei più minuti dettagli devi fornire le prove". E di come Antonio Ciano a Gaeta abbia avviato le pratiche per chiedere ai Savoia il risarcimento dei danni dell'assedio del 1861. Attualizzati ad oggi pari a 270 milioni di euro. Gaeta fu l'ultimo baluardo di resistenza all'invasione piemontese.

Il racconto di Aprile diventa sconcertante nel capitolo intitolato "la strage". Tutti i ragazzi dovrebbero leggerlo, come è giusto che si leggano le barbarie combinate dai nazisti nei lager. Storie di bambini uccisi come briganti. Di violenze sessuali a danno di donne e di uccisioni dei relativi mariti. Ma a migliaia. Legittimate da leggi come la legge Pica, deputato peraltro meridionale egli stesso. "Legittime" fucilazioni sul posto di persone anche solo accusate o indicate come fiancheggiatori di briganti.
Maria Ciaburri dicono fosse a letto, col marito Giuseppe. Le saltarono addosso, dinanzi a lui. Poi li uccisero: prima l'uomo; lei dopo, quando se ne stancarono.
Erano i portatori della libertà illuminata. Quella dei cialtroni della mistica di Stato. Aizzatori e terroristi per eccellenza passati per patrioti. Utili idioti anch'essi al servizio del furbo Cavour. Anche solo riguardare le pagine della descrizione degli eccidi di Pontelandolfo e Casalduni, ammetto, fa venire i brividi.

Ma vi invito a leggerle. La cosa peggiore è che di quelle vittime abbiam contezza grazie al duari di uno degli aguzzini, il bersagliere Margolfo. Per non parlare del generale Cialdini. E ancora. La vergogna del bando di coscrizione e l'uccisione dei renitenti alla leva che si tramutò in un vero rastrellamento di giovani e mariti, spesso fucilati sul posto per non aver letto il bando affisso nell'albo pretorio. Iniziava così questo paese. Quei poveretti erano fucilati perchè renitenti a loro insaputa. Oggi, ai politici del Nord, pur sempre a loro insaputa, vengono comprate abitazioni. Emerge dal passato anche la storia del lager di Fenestrelle. Grazie alla risonanza dei lavori di Aprile e a diversi altri storici non conformisti, e all'impegno di Romano e di Gennaro De Crescenzo, è ormai aperto il dibattito storico sul lager piemontese in cui finirono migliaia di meridionali. Il confronto è tuttora aperto tra negazionisti e revisionisti.

Vengono descritte le vicende di Carmine Crocco, di Giustino Fortunato e di Liborio Romano. Storie che spiegano come il Sud avesse un destino segnato: quello di veder peggiorare inesorabilmente le proprie condizioni in pochi decenni. E se il lettore si appassiona, e prova anche un senso di rivalsa verso una storia occultata, vuol dire che la radice è viva. E si scopre che i mariuoli stavano altrove.
Negli stati via via annessi alla nascente Italia, appena arrivavano i piemontesi, spariva la cassa; [...] I meridionali pagavano più degli altri italiani, perchè costretti a rifondere pure le spese affrontate per la loro liberazione.
Il divario economico fra le due grandi aree del paese cominciò a manifestarsi alla fine degli anni Settanta e negli anni Ottanta (dell'Ottocento). Fu contemporaneo, cioè, alla nascita della questione meridionale. Così scrivono gli storici Daniele e Malanima. E invece... Ci avevano raccontato che il Reame borbonico era arretrato perchè feudale. Mentre il nord era avanzato perchè aveva avuto l'esperienza dei Comuni. La spiegazione non regge. Feudali erano anche l'Inghilterra e il Giappone. E sotto molti aspetti il Regno delle Due Sicilie era secondo solo ai britannici. Che erano i primi al mondo.

E per tornare alla domanda da cui ho fatto scaturire questa discussione sull'utilità di leggere Terroni, Pino Aprile ne ripete in modo incalzante un'altra, nel testo: "Ma come mai i meridionali si fanno trattare così?".

Ecco: uno dei motivi per cui leggere Terroni di Pino Aprile è cominciare a capire la provenienza dell'endemico disinteresse dei meridionali verso la gestione della cosa pubblica. Lontani i tempi in cui Ettore Ciccotti, lucano, deputato, nel 1904 chiedeva che la sua regione fosse abbandonata dallo stato, perchè potesse, con le proprie risorse, badare finalmente a se stessa.
E invece lo sfruttamento di quella regione (petrolio incluso) non è ancora terminato dopo altri 100 anni.
Un altro grande parlamentare meridionale calcolò con quali indici la tassazione cresceva in senso proporzionale alla povertà. A parità di popolazione, infatti, la Sicilia pagava tre volte e mezzo di più delle Venezie. Era Francesco Saverio Nitti.

Mentre un altro meridionalista di spicco, molfettese, Gaetano Salvemini, appare tra le pagine di Terroni, sostenendo: "Nel 1860, noi meridionali fummo rovinati in nome dell'unità; nel 1887 in nome dell'industria; non ci mancherebbe altro che fossimo rovinati ora anche in nome della storia!".

Era la gestazione dell'industria padana, a cui , come spiega Nicola Zitara, è stato sacrificato tutto il resto del paese. Sud in primis.

E così, alla fine del fascismo, il disfacimento culturale e socioeconomico del Sud è fatto.

Il Sud era un posto da cui scappare. "Imparate una lingua e andatevene"; non aveva altro da dire, e poco altro da dare, un pur onesto presidente del Consiglio come Alcide De Gasperi.
Il Sud era ormai diventato privo di iniziativa industriale e ridotto a zona in cui vendere prodotti del Nord. Eppure, Aprile descrive del bell'indotto industriale voluto dai Borboni che prevedeva la produzione siderurgica a Mongiana fino ad arrivare a produrre treni a Pietrarsa. Altro che balocco del re. Il Sud, nel 1850, era in grado di produrre treni, una teconologia assolutamente di avanguardia. Altro che zona arretrata di dementi antropologicamente sfigati.

Nel secondo Dopoguerra, anche l'inganno della Cassa del Mezzogiorno è servito a far sentire qui al sud il peso dell'assistenzialismo statalista. Peccato che, a conti fatti, costituisse lo 0,5% del PIL. Un duecentesimo della ricchezza prodotta in Italia. Quanto il gettito dell'Ici prima casa abolito da Bersluconi. e pensare che a usufruirne furono molti imprenditori non meridionali. Proprio come in questi anni accade coi fondi FAS. Fondi per aree sottosviluppate, usati per l'Expo di Milano o i battelli di Como. E' un vizietto che proprio non vogliamo perdere qua al Sud: quello di farci fregare.

Aprile parla poi della Salerno-Reggio: la SaRc. Una vergogna pluridecennale. e il gioco di interessi imprenditoriali che ancora una volta va ben oltre il Sud.

Come disse il nobel A. Sen "L'uomo è quel che gli viene permesso di essere". Proprio così. A noi è stato consentito di diventare meridionali. Di essere a Sud di qualcuno. Che era a sua volta Sud di qualcun altro.
Questo sottile gioco psicologico di educazione alla minorità viene indagato da Pino Aprile, che cerca di spiegare anche cosa potesse passare nelle menti dei bersaglieri che di punto in bianco si trovarono a comportarsi da aguzzini verso la popolazione più o meno inerme. a radere al suolo interi paesi per rappresaglia. Cose per cui ogni anno i Capi di Stato posano corone legittimamente ricordando Kappler e affini.

"la pietà sara considerata tradimento" dissero ai propri soldati liberatori venuti dal Nord, quando ordinavano rappresaglie contro la popolazione, come a Pontelandolfo e Casalduini, con uccisione di bambini, stupri, innocenti arsi vivi nelle case.
Un baratro è stato scavato nel nostro paese; non è mai stato riempito. Chi c'era dentro è stato convinto e si è convinto di meritarlo: non pretende gli stessi diritti, al più "interventi straordinari"; chi ne è fuori, continua ad attingervi quel che gli conviene e a gettarvi dentro la sua disistima e i rifiuti tossici, pensando di averne il diritto.

Parole quanto mai attuali, viste le cronache della Terra dei Fuochi. Dunque, cercando di arrivare a una legittima conclusione di questa frammentaria e riduttiva descrizione di Terroni, quel che si può cercare di argomentare è che conoscere queste storie più o meno remote nel tempo assume una rilevanza fondamentale per chi voglia finalmente cambiare rotta. Per chi amministra la res publica al Sud, per chi fa giornalismo, per chi fa imprenditoria e per chi ama semplicemente la propria terra. Come noi. Questo perchè, come dice Domenico Ficarra, citato da Aprile "non saranno mai gli altri i risolutori dei problemi del Sud".

Quale sia ricetta migliore per risolverli (la separazione consensuale proposta da Marco Esposito in Separiamoci, come farà forse la Scozia, o la ridiscussione del federalismo fiscale e delle modalità di distribuzione delle risorse sul territorio e dei prelievi fiscali), questo è da vedersi ma le premesse, dentro Terroni, per discutere da pari a pari ed emanciparsi dalla minorità a cui la storia pareva averci condannato ci sono tutte.Si finisce di leggere Terroni avvertendo un forte senso di accrescimento. Di conoscenze storiche. E di autostima.

Buona lettura!

Alessandro Cannavale

venerdì 3 gennaio 2014

Tolgono al Sud per dare al Nord


Letta taglia un'infrastruttura lucana. Servono soldi per la Fiera di Milano
di Eugenio Bonanata

Per la maggioranza delle larghe intese la Basilicata non conta nulla. Il Governo Letta, infatti, due mesi fa ha sbloccato 149 milioni di euro per l'infrastruttura Schema idrico Bradano-Basento. Ma qualche giorno fa è ritornato sui suoi passi. Ha sottratto i fondi per finanziare la fiera di Milano.
E poi la chiamano 'questione meridionale'
L'infrastruttura 'negata' Lo schema idrico Bradano-Basento è un'infrastruttura che a regime dovrebbe rifornire di acqua 5mila ettari di campi compresi tra diversi comuni lucani: Palazzo S.Gervasio, Banzi, Genzano e Irsina. I lavori sono stati approvati con una delibera del Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economia) nel 2008. Si tratta, inoltre, di un'opera pubblica inserita nella Programmazione strategica per il Mezzogiorno. I lavori sono stati appaltati nel giugno del 2012. Eppure il Governo Letta, negli ultimi due mesi, si è stranamente dimenticato dell'opera "strategica". Fino a chiuderne i rubinetti.

Novembre 2013: "Sbloccati 149 milioni" E' il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, lo scorso 6 novembre, a siglare il decreto interministeriale "con cui si individua, nell'Ente per l'Irrigazione (Eipli), il nuovo soggetto aggiudicatario dell'intervento 'Schema idrico Basento-Bradano' - tratto di Acerenza". Con questo decreto, si legge sul sito del Ministero alle Infrastrutture, "si sblocca, di fatto, un contributo pluriennale di 141 milioni". Si va a "finanziare un'opera strategica nazionale, i cui lavori, iniziati a maggio di quest'anno, non avevano ricevuto alcun finanziamento", e "si scongiura", inoltre, "l'ipotesi di una sospensione degli stessi lavori, che avrebbe avuto gravi ripercussioni economiche ed occupazionali nell'area dell'intervento". L'opera pubblica "strategica per il Sud", quindi, sembrava salva. Se non fosse che la mano destra, spesso, non sa cosa fa la sinistra.

Il decreto legge 'Destinazione Italia' "taglia" i fondi e li destina all'Expo 2015 A far filtrare la notizia, nelle scorse ore, è stato l'onorevole lucano Cosimo Latronico (Fi). A finire sul banco degli imputati è il decreto legge 'destinazione Italia', approvato lo scorso 13 dicembre dal Consiglio dei Ministri. Nel testo, ora all'esame delle Commissioni competenti della Camera, all'articolo 13, si prevede la revoca di "68 milioni" previsti per lo schema idrico B.-B. Soldi che verrebbero destinati alle infrastrutture della Fiera Expo 2015. Ora si dovrà capire se nei lavori delle Commissioni e fino al decreto di conversione, la norma verrà modificata. Nel frattempo, però, balza agli occhi quanto sia "strategica" la Basilicata per il Governo in carica.

Togli al Sud e dai a Milano Disattenzioni o piani ben architettati? Il ministro Lupi a novembre firma un decreto con cui "salva l'opera pubblica strategica per il Sud" e solo un mese dopo firma insieme agli altri ministri un altro decreto, che di fatto, vanifica quanto sancito un mese prima. Un'afasia politica che rischia di procurare danni seri sul territorio. L'altro aspetto che fa gridare allo scandalo, poi, è la centralità del Sud e della Basilicata nei piani di Sviluppo strategico nazionale. Quando si è trattato di aprire il territorio lucano a nuove estrazioni petrolifere, da Monti passando per Letta, si è pensato ai "superiori" interessi nazionali, tralasciando le perplessità, legittime, del popolo lucano. Quando ad essere di interesse strategico, invece, è un'opera pubblica che rifornisce di acqua le campagne lucane, si può anche fare marcia indietro. Perché in fondo è la fiera Expo di Milano il 'vero' fiore all'occhiello dell'italianità. Togliere al Sud per dare al Nord: un refrain vecchio quanto l'Unità d'Italia. E poi la chiamano 'questione meridionale'. Già, ma ad alimentarla, spesso, non è proprio il Governo centrale?

Basilicata24.it

151° ANNIVERSARIO DELL’ECCIDIO DEL SERGENTE ROMANO

Il prossimo 5 gennaio 2014, alle ore 10,30, nel bosco Vallata tra Gioia del Colle, Acquaviva e Santeramo, si terrà la celebrazione del 151° anniversario del massacro compiuto ai danni del mitico Sergente Romano (http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Briganti/SergenteRomano.htm#pasquale) e dei suoi valorosi uomini da parte dei soldati dell'esercito piemontese. Sui luoghi che serbano muti il dolore di una così efferata carneficina, nel 2006, fu innalzato un monumento che è testimonianza concreta della volontà di strappare il velo dell'oblio omertoso che per decine di anni ha coperto quel barbaro sterminio.

La redazione della Rete Sud

PROGRAMMA DELLE CELEBRAZIONI:

ORE 10,00 - accoglienza dei partecipanti al punto di ritrovo (segnalato dalle bandiere del Regno delle Due Sicilie lungo la SS. Gioia del Colle - Santeramo e indicato sulla mappa allegata)

ORE 10,30 - trasferimento al Monumento dedicato al Sergente Romano

ORE 11,00 - commemorazione dei patrioti duosiciliani massacrati e deposizione della corona d'alloro all'obelisco commemorativo

ORE 13,00 - banchetto del brigante

Si consigliano calzature e vestiario invernale ed adatto alla campagna.

Inoltre, chi può, è invitato ad indossare l'antico tabarro.

La piccola Angelina Romano, martire dell’Unità d’Italia

La piccola Angelina Romano, martire dell'Unità d'Italia

di Valerio Rizzo

Oggi si narrerà una storia triste, drammatica, una storia che se per un verso è assimilabile a tantissime altre, per un altro contiene qualcosa di talmente scomodo, da essere stata volutamente tenuta nascosta e sottaciuta. Si narrerà di ciò che successe in un paese siciliano, Castellammare del Golfo, in provincia di Trapani, ad una bambina di soli 9 anni.

Gli artefici di questa crudele vicenda sono coloro che nella storia "ufficiale" vengono definiti "liberatori"e la brutalità con cui si sono svolti i fatti dovrebbe far scaturire le stesse sensazioni di quelle narrazioni televisive, a cui oggi siamo tanto abituati, e in cui purtroppo i bambini sono protagonisti in negativo. E' passato più di un mese da tutta quella patetica retorica risorgimentale messa in scena il 17 marzo scorso, o da quello spettacolo retorico fatto da Benigni sul palco dell'Ariston in cui si è elogiato il Risorgimento come una rivoluzione di popolo, ma che la realtà storica ha dimostrato, in più occasioni, che fu solamente una evento voluto da pochi e a causa di interessi, soprattutto economici.

Ma torniamo alla nostra bambina di 9 anni. Era l'inverno del 1862, e già dall'anno precedente il neo governo sabaudo-piemontese aveva mandato in Sicilia il generale Covone dandogli poteri "speciali", tra cui quello di emanare la legge marziale e proclamare lo stato d'assedio. Il primo atto di questo generale fu quello di dare ordine ai soldati piemontesi di avere "libero arbitrio" nel decidere della vita o della morte dei siciliani. Proprio in questo clima di ostilità accaddero fatti gravissimi che coinvolsero la città di Castellammare del Golfo. Ivi il malcontento verso gli oppressori sabaudi era molto forte, ma la scintilla che fece esplodere la rivolta fu l'introduzione della leva militare obbligatoria, provvedimento sconosciuto sotto i Borbone.
Tale legge, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del Regno il 30 giugno 1861, comportava l'allontanamento per sette lunghi anni di tanti giovani dalle loro famiglie e dalle loro terre.Per scappare da questa norma ingiusta tantissimi ragazzi si nascosero nei boschi e nelle colline intorno alla città, ma non potendo vivere a lungo in quelle condizioni disagiate, il 2 gennaio 1862 decisero di insorgere contro i piemontesi.
Così, alle 14 di una gelida giornata invernale, più di 450 giovani, armati di qualsiasi cosa avessero trovato per le strade, entrarono nella città di Castellammare e diedero l'assalto alla sede del commissario di leva Bartolomeo Asaro e del comandante della Guardia Nazionale Francesco Borruso. I piemontesi risposero immediatamente e da Palermo furono mandati interi battaglioni di bersaglieri coadiuvati da ben due navi da guerra che approdarono nel porto della città.
Il corpo di spedizione era comandato dal generale Quintini, famoso per essere tra i più crudeli e spietati nell'isola, e invase immediatamente il paese. Gli insorti furono costretti a fuggire e tornarono a nascondersi nei boschi, mentre centinaia di popolani, abitanti del posto, cercarono rifugio in campagna. Proprio in quel momento avvenne uno degli episodi più drammatici di tutta la storia risorgimentale: mentre i bersaglieri perlustravano i dintorni di Castellammare, nella contrada Falconiera, trovarono un gruppo di cittadini, tra cui il parroco del paese, che si erano rifugiati lì per paura, e il generale Quintini dopo un interrogatorio sommario, diede ordine di fucilare tutta quella gente, senza processo e con l'accusa di essere parenti degli insorti.
Nel frattempo, i soldati udirono i pianti di una bambina che aveva avuto la sfortuna di trovarsi nelle vicinanze, la presero di peso e la posero, ancora col viso bagnato dalle lacrime, di fronte al plotone di esecuzione. Era il 3 gennaio del 1862, il vento spazzava le lustri divise e faceva svolazzare le "penne" dei bersaglieri, in quel momento chissà quali furono i pensieri di quella bambina che si era trovata per caso di fronte a uomini con strani cappelli pennuti che le puntavano i fucili e che parlavano in una strana lingua. Chissà se in quel momento si rese conto di stare vivendo i suoi ultimi attimi, e se con matura consapevolezza riportasse alla memoria quando giocava per i prati o quando aiutava la madre a cucire.
Ma a Quintini questi pensieri non interessavano e ordinò senza remore: "puntate, sparate, fuoco!".
Tale episodio potrebbe ricordare gli eccidi che le SS naziste hanno fatto in Europa, invece stiamo parlando dei "Padri della Patria" e la rabbia che oggi cresce sempre di più e che sale nelle vene sta nel fatto di volere ancora e tutt'ora nascondere queste verità brutali. L'unità d'Italia fu una guerra di conquista a sfondo razzista avvenuta nel Sud Italia con le stesse modalità del nazismo: interi paesi rasi al suolo, brutalità gratuite contro i civili, istituzione di lager; e solo quando questo Paese avrà il coraggio di guardare in faccia i suoi "scheletri nell'armadio" forse potrà pensare al futuro.
Resta il fatto che oggi solo nell'archivio storico militare, ma in nessun libro di storia, troviamo scritto: "Castellammare del Golfo, 3 gennaio 1862, Romano Angelina, di anni 9, fucilata, accusata di Brigantaggio".

Le altre sette persone fucilate quel giorno:
* Don Benedetto Palermo, di anni 43, sacerdote
* Mariano Crociata, di anni 30
* Marco Randisi, di anni 45
* Anna Catalano, di anni 50
* Antonino Corona, di anni 70
* Angelo Calamia, di anni 70